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Kaiser Chiefs - Duck - Polygram Rec - LP/CD

Si è parlato insistentemente dell’ormai abusato “ritorno alle origini” per il nuovo, settimo lavoro in studio dei Kaiser Chiefs. Probabilmente la fredda accoglienza riservata alla (per lunghi tratti improbabile) svolta pop dance del precedente “Stay Together” ha lasciato il segno, ed eccoci qui a parlare di un album che, a detta del frontman Ricky Wilson, possiede un’anima al cento per cento Kaiser Chiefs. La missione è, c’è da dirlo, perfettamente riuscita: “Duck” (questo il titolo) è un disco in tutto e per tutto alla KC, con tutti i pregi e i difetti del caso, solo che stavolta i primi superano di gran lunga i secondi, a differenza del lavoro di tre anni fa. Merito anche del produttore Ben H. Allen, già regista della clamorosa resurrezione della band nel 2014 con il sottovalutato “Education… And War”, che rilanciò la band dopo il pesante tonfo di “Off With Their Heads”. Allen aiuta gli ex ragazzi prodigio a puntare sul loro miglior talento: un’innata bravura e naturalezza nel costruire la melodia giusta al momento giusto. Ne escono pezzi davvero convincenti ed efficaci, come l’apertura “People Know How To Love One Another”, gioiosa ed arrembante, o come il singolo “Record Collection”, l’unico brano del nuovo lavoro ad ibridare elementi funk dance della release precedente con il tipico sound alla Kaiser Chiefs primi anni duemila. Devia un po’ dal tracciato anche la deliziosa “The Only Ones”, che col suo afflato tipicamente eighties fa centro pieno e regala l’ennesima melodia da mandare a memoria. Wilson e compagni sono un po’ meno convincenti quando i ritmi rallentano (“Target Market”, uno yacht rock forse troppo blando, e “Lucky Shirt”, anche se il refrain in questo caso è davvero irresistibile), mentre divertono da morire quando i ritmi si alzano e saltano fuori insospettabili fusioni di elementi diversi tra loro, ad esempio i fiati conditi di elettronica leggera della frenetica “Wait” e la chitarra quasi flamencata di “Northern Holiday”. Tornano, a proposito, le chitarre, anche se non sono più centrali ed arrembanti come nei primi due album, ma fungono da cornice ad un quadro a forti tinte pop : “Golden Oldies” e la bellissima conclusione “Kurt vs Frasier (The Battle For Seattle)” in tal senso sono pezzi brit fatti e finiti, che nel ritornello rievocano i coretti ruffiani dell’epoca di “Employment”. “Don’t Just Stand There, Do Something” invece è un gradito omaggio agli Arctic Monkeys più maturi degli ultimi dischi. Un ottimo ritorno questo “Duck”, non il ritorno alle origini tout court strombazzato ai quattro venti, ma il ritrovamento di un nuovo equilibrio per i cinque di Leeds ed il loro miglior disco da anni a questa parte.

Scasso  16/12/2019


D.O.V.E. (Drum, Organ, Vibes, Ensemble) - Here We Are! - Cat Sound Rec. - LP

D.O.V.E. (Drums, Organ ,Vibes Ensemble) nasce nel 2015 ed è diventata negli anni una tra le realtà più interessanti nel panorama jazzistico contemporaneo grazie al ricercato connubio sonoro dei tre singolari strumenti, vibrafono, organo Hammond e batteria, sino ad oggi non ancora utilizzati insieme nella scena musicale europea. L’Ensemble, che spazia dalle sonorità energiche del soul jazz sino all’hard bop più raffinato, presenta ricercate composizioni originali che rivisitano gli anni ‘60 e ‘70 in maniera innovativa. Il primo lavoro, intitolato “Where are you?” (Statale 11, 2017), è un concept album uscito esclusivamente in vinile e digitale, dalla grafica molto particolare nata dalla collaborazione con il grafico e ed illustratore Tommaso Ciato. Il disco è infatti un gioco dell’oca musicale, i cui protagonisti sono proprio gli strumenti del gruppo e viene venduto assieme al dado da gioco. Reduci da due anni di concerti on the road per Italia ed Europa, passando per location importanti quali il Vicenza Jazz Festival, Imago Jazz Festival (Slovenia), il festival Le Clean Cut di Barcellona, La Casa del Jazz di Roma, Teramo Jazz, i Musei Vaticani… il trio si rinchiude in studio per dar vita al secondo lavoro dal titolo “Here We Are!” (Cat Sound Record, 2019) La copertina, sempre firmata da Tommaso Ciato, si rifà alla Settimana Enigmistica: infatti è presente il gioco unisci i puntini nel fronte, mentre, nel retro, troviamo un cruciverba con protagonisti i grandi del Jazz.

Scasso  29/11/2019


Temples - Hot Motion - ATO Rec. - LP/CD

L’essere indicati da Johnny Marr e Noel Gallagher come la migliore nuova band del Regno Unito è un titolo che ai Temples ha portato l’onere di grandi aspettative e pure qualche grattacapo. Ridotti formalmente a trio, dopo l’abbandono del batterista Samuel Toms, il gruppo si è preso il tempo necessario per mettere a fuoco il peso di una responsabilità non proprio leggerissima, scegliendo di gestire in maniera del tutto fluida la lavorazione delle nuove idee. Rintanati per dieci mesi nella casa di campagna del riccioluto frontman James Bagshaw, i giovani psych-rocker britannici hanno vissuto, registrato e celebrato la propria strabordante spavalderia, al punto da lasciare spazio a un’inedita libertà compositiva che ha finito per caratterizzare l’intero album, al solito ricco di rimandi al passato. In “Hot Motion” sono perciò confluiti non solo vecchi e nuovi riferimenti ai fantasmagorici anni Sessanta, ma anche una maggiore attenzione a quel lato smaliziato e diretto che la formazione del Northamptonshire aveva finora preferito sedimentare tra barocchismi e artifici melodici. Ciò che sorprende infatti è la fulminea immediatezza di tutte le tracce, con arrangiamenti levigati che omaggiano tanto i Kinks quanto i Beatles più meditativi di George Harrison. Il terzetto, mettendo da parte le sovrastrutture più bizzose, ha definito una propria obliqua traiettoria di trame circolari e riverberi dalla consueta anima lisergica. La stessa title track “Hot motion”, lanciata come singolo apripista, offre quell’altalena di fantasia liquida ed esplosione ritmica che rappresenta l’ideale biglietto da visita degli sforzi della band di realizzare un’opera citazionista e orecchiabile, a tratti densa, ma dagli equilibri pop pesati col bilancino. Non solo smaccato modernariato però, perché nonostante una sovrabbondanza di manierismo che spesso finisce per avere la meglio sulle canzoni stesse, i Temples completano un arazzo ingegnosamente intricato di suoni - a modo loro - essenziali, un’alchimia vintage a tratti quasi esoterica, cupa e poetica che, pur restando focalizzata nella ricostruzione, quasi maniacale, di un’epoca già impressa nell’immaginario collettivo, riesce a mettere in dubbio un linguaggio ormai collaudato. Dalla marcia militaresca di “The howl” fino alle frenesie epiche per orchestra e scintille hard di “Atomise”, “Hot Motion” risulta un album onirico e magniloquente, compatto e perfino piuttosto spaccone con le sue strane elucubrazioni a zonzo tra sogni, desideri e incubi, capace però di trasmettere quel pathos di luci e ombre di una band al sicuro in una bolla temporale che si rivela non solo salvifica ma anche ostacolante. Se “Context” appare come un inno allo sprezzante narcisismo, la chiusura affidata al ritornello brioso di “Monuments” provoca un’ulteriore spaccatura di umori nel roboante pop freak del gruppo, che alla fine sembra volersi fare carico di una rievocazione storica affabilmente patinata, senza troppa voglia di innovare un campo già tracciato, ai giorni nostri tanto dai Tame Impala quanto dai Muse. “Hot Motion” potrebbe essere considerato un progresso di capacità tecniche più che artistiche, ma non per questo è meno elettrizzante.

Scasso  28/11/2019


Giuda - E.V.A. - Rise Above Rec. - LP/CD

Una delle cosiddette “eccellenze italiane” esportabili ed esportate all’estero sono i Giuda, band capitolina in azione dal 2010 e giunta da non molto al traguardo del quarto album – che è uscito anche su vinile e per l’etichetta nientemeno che di Sua Eminenza Lee Dorrian (Cathedral, Napalm Death). Al glam rock con inflessioni hard e punk dei dischi precedenti (caratterizzati ogni volta da un diverso peso, nel mix, delle singole componenti) i Giuda stavolta aggiungono un tocco inaspettato: un’anima che loro stessi definiscono protodisco e che aiuta a plasmare un sound che la band ama pensare radicalmente diverso rispetto a quanto proposto in precedenza. È così fino a un certo punto, in effetti: i Giuda restano energici, punk e rockettari, ma con una robusta dose di synth vintage e di bassi da dancefloor che guardano a certi meticciamenti fra rock muscolare e sonorità ballabili. Disco rock? Così è… se vi pare. I brani che più si fanno notare sono l’opener Overdrive (con un bel tiro – come si addice al primo pezzo di un album), Cosmic Love con il suo mood discotecaro totalmente anni Settanta e il rock di grana grossa Ravers Rock (un semistrumentale che frulla rock e vibrazioni da Studio 84). Un lavoro piacevole che consoliderà la fan-base dei Giuda, ma sicuramente farà guadagnare anche nuovi adepti desiderosi di scatenarsi sotto al palco, cantando i ritornelli.

Scasso  28/11/2019


VV/AA - Soul On The Corner - Acid Jazz Rec. - 2LP/CD

Dopo l'acclamata compilation Jazz On The Corner dello scorso anno 2019, Martin Freeman si unisce nuovamente al famoso leader di Acid Jazz, Eddie Piller, per presentare una vera e personale raccolta di brani. Compilato con i singoli preferiti e personali della coppia, che si tratti di ascoltare in radio, passaparola o Dj-ing - Soul On The Corner rappresenta l'intera gamma di soul dagli anni sessanta e settanta fino ad oggi, come illustrato da artisti del calibro di Tommy McGhee e il recente firmatario Acid Jazz Laville. Apertura con l'inimitabile Bobby Womack e How Can You Break My Heart, come spiega Piller; "Non mi stanco mai di ascoltare questo disco e l'ho usato regolarmente per chiudere il mio DJ set, è un vero momento hands-in-the-air." Ulteriori tagli dal rinomato e meno noto si completano perfettamente a vicenda: la marmellata sensuale di Laville's Thirty One o la superba sfumatura di soul progressista a forma di Love Music di Sergio Mendes & Brasil 77. La selezione di Piller trascende il divario rock / soul con Never Gonna Give You Up dell'ex Impression Jerry Butler, aggiungendo: “Ho deciso di farlo perché ho ricordato l'incredibile risposta della versione di The Black Keys che ho trasmesso nello show Funk and Soul della BBC. ” Non meno varia è la scelta del fan del soul Martin Freeman, che si apre con soul vintage del '68 con un tocco di qualcosa di più rock, A Raggedy Ride di Barbara Ack che professa; "È una gemma inaspettata che è stata la mia preferita per sempre". Altre scelte arrivano sotto forma della copertina di Georgie Fame della luce del giorno di Bobby Womack che ha entusiasmato Freeman; “L'originale è una bellezza. Questo è meglio. ”Ulteriori inclusioni provengono da The Supremes e The Wisdom Of Time, che rappresentano la scena soul contemporanea della metà degli anni novanta è Lewis Taylor con Lucky che come afferma Freeman; "Una melodia epica". Nel frattempo, tratto dal loro primo album omonimo Earth Wind & Fire incarna la natura inoovatrice di uno degli autori di maggior successo di tutti i tempi e aggiunge Freeman; “Questo è un grido funky-infernale per la pace e l'amore. Buon Dio, erano così bravi.

Scasso  12/11/2019


Alfa 9 - My sweet movida - Blow Up Rec. - LP/CD

Per la band di Newcastle “My Sweet Movida” è il terzo album in dodici anni di attività, un nuovo capitolo destinato a sciogliere i dubbi messi in campo dalle tentazioni più pop del precedente “Gone To Ground”. Le coordinate di riferimento restano i Byrds, i Beatles, i Pretty Things e i primi Pink Floyd, ma anche le glorie del Paisley Underground (Long Ryders in particolare) o gli aggiornamenti stilistici di band come i Church, i Coral o i Cosmic Rough Rider. Con una copertina che evoca gli aridi paesaggi americani, resta ben poco spazio per l’immaginazione. Forse lo stesso termine pop psichedelico affievolirà le aspettative, ma per gli Alfa 9 lo scopo primario non è quello di stupire, quanto di confortare l’ascoltatore con una scrittura solida e ispirata, che renda omaggio alle dichiarate influenze senza far storcere il naso. Ad esser sinceri, “My Sweet Movida” è l’album più convincente della formazione inglese, la formula più calibrata tra la psichedelia più grezza di “Then We Begin” e il jangle-pop di “Gone To Ground” si veste di sonorità più curate e policrome, anche se sono sfumature quelle che differenziano le undici tracce. Il trascinante jangle-pop alla Byrds di “Different Corner” e “When I Think Of You” cattura lo spirito dei tempi passati con brio e rinfrescanti progressioni armoniche, ma spetta al delizioso spaghetti western à-la Morricone della misteriosa “Movida” e della più atipica “Darkest Sea” sconfiggere la prevedibilità della formula. Le citazioni degli anni 60 e 70 sono tante, tra sonorità wah wah che fanno la loro bella comparsa in “Smile Dog”, refrain chamber-pop che infondono un fluido romanticismo in “Cinema Of Thunder” e variazioni pop-psych che evocano i primissimi Pink Floyd nella più elaborata “Coincidence Flies”. Il nuovo Alfa 9 conferma ancora una volta l’esistenza di un filo comune tra Inghilterra e America, rinnova le grazie del citazionismo degli Shack ("When The Lights Go Out”) e dei già citati Coral (“Rise”) evitando le secche della nostalgia grazie a una scrittura compatta. La band inglese concentra tutto sulla scrittura, prediligendo la grazia dei Teenage Fanclub alla grinta dei Long Ryders. Anche i testi hanno una profondità più convincente, trovando il definitivo sigillo nei sette minuti della conclusiva “Fly”, che per un attimo cita il fascino avvolgente dei Manassas, convalidando la piacevole sensazione di autentica ammirazione per un sound che sembra non aver ancora esaurito il suo potenziale creativo.

Scasso  11/11/2019


Liam Gallagher - Why Me? Why Not. - Warner Music UK - CD/LP/LP lim. ed

Stavolta Liam Gallagher ce lo chiede anche nel titolo. Perché lui? Ma sì, perché no. E alla fin fine è difficile dargli torto. Una carriera che sembrava in picchiata libera (anzi, praticamente ferma) improvvisamente risollevata da un album solista di clamoroso successo (nella prima settimana in UK ha venduto più di tutta la top ten messa insieme), una ritrovata visibilità e (soprattutto) una proposta finalmente di nuovo qualitativa. L’accettazione dei propri limiti è stato il primo passo verso la rinascita: Liam, tacciato da tanti come arrogante e supponente, ha fatto un passo indietro ed ha accettato di lavorare con dei co-autori (e che co-autori, capitanati da Greg Kurstin, negli ultimi anni gallina dalle infinite uova d’oro), prendendo coscienza del proprio ruolo di frontman ed inteprete eccezionale ma con qualità di songwriter certo non sufficienti (anche se, alcune delle cose migliori dell’esordio “As You Were” erano farina esclusivamente del suo sacco). Ad un album del Gallagher più giovane ci si approccia sempre allo stesso modo: Liam è estremamente derivativo, ed è fiero di esserlo. Quando descrive una canzone, fa sempre riferimento ad un’ispirazione classica (l’onnipresente Lennon in testa), e rispetto al pur ottimo esordio stavolta serviva qualcosa in più. Accantonate le iniziali velleità di un disco più crudo e punk rock con orientamento Stooges, Gallagher ha cestinato tutto ed è ripartito da capo assieme allo stesso team di co-autori e produttori dell’opera prima. Ed il risultato è stupefacente. “Why Me? Why Not.” (titoli ispirato a due dipinti di John Lennon che Yoko Ono ha regalato all’ex frontman degli Oasis) è un disco nettamente superiore al pur ispirato predecessore, ed in generale uno dei dischi rock più belli degli ultimi mesi. Ed a tratti riesce persino a spiazzare. Certo, i tratti somatici son quelli (nel rock blues del singolo “Shockwave” e nello spaccato anni ‘70 di “The River” c’è tanto degli ultimissimi Oasis, così come “Once” è una ballad pazzesca che non può non far pensare a Lennon), ma quando si osa si osa con intelligenza (mastodontico il lavoro di Andrew Wyatt in tal senso, che sceglie sempre l’abito giusto per la voce di un Liam mai così in forma) e capita di cadere dalla sedia quando parte un basso martellante in odore di Depeche Mode (!) nella bonus track “Invisible Sun”, o quando una chitarra in pieno Morricone (!!) porta ad uno spoken word (!!!) nella torrenziale “Gone”, posta in chiusura.Nel mezzo, tanto classic Gallagher: “Now That I Found You” (probabile prossima hit) è frizzante e sbarazzina e ringiovanisce il mancuniano di almeno venti anni, proponendo una melodia freschissima, una chitarra solare ed intelligente ed un ritornello da mandare a memoria dopo mezzo ascolto. “Halo” e l’altra bonus “Glimmer” rimandano ai tempi dei Beady Eye, la prima addirittura alla disastrosa “Bring The Light” (ma con uno sviluppo dieci volte superiore). “Be Still” e la titletrack sono il cuore rock dell’album, “Alright Now” (ancora Lennon) e “Meadow” (George Harrison) quello psichedelico (pazzesco l’arrangiamento di Kurstin per quest’ultima), “Misunderstood” (altra bonus) porta Liam ad altezza Robbie Williams (quello sorprendente di “Escapology”, non quello degli ultimi bolsi tentativi solisti). “Why Me? Why Not.” restituisce a Liam Gallagher un ruolo saldo nella musica rock che conta, contribuendo a ricostruirne definitivamente la credibilità artistica.

Scasso  14/10/2019


Four by Art - Inner Sounds - Area Pirata Rec. - CD

Ritornano dalle nebbie di tempi mitici ma in realta’ neanche tanto lontani i Four By Art: il gruppo milanese fu uno dei protagonisti della stagione neopsichedelica in Italia. Fortemente influenzati dalle sonorita’ garage e R&B, i Four By Art, prima di sciogliersi, pubblicarono 2 Lp, rispettivamente “Four By Art” nel 1985 e “Everybody An Artist with... Four By Art” nel 1986 oltre ad una serie travolgente di esibizioni live. In ogni caso tutto il materiale dei Four By Art e’ stato ristampato nel 2008 dalla meritoria Area Pirata di Pisa nel doppio cd “The Early Years@ che racchiude anche il singolo e delle tracce dal vivo. Nel 2002 i Four By Art si sono riformati e ora, sempre a cura di Area Pirata, esce il loro nuovo disco intitolato “Inner Sounds”. Il cd si presenta subito bene in virtu’ di una bella copertina colorata e psichedelica – si tratta di un digipack a 3 ante - opera dell’artista messicana”Grace” che ha perfettamente catturato lo spirito e l’essenza del loro universo. La prima impressione che si ha ascoltando “Inner Sounds” e’ quella che il tempo non si sia mai fermato per i Four By Art: il gruppo formato da Filippo Boniello (voce, basso, chitarra, clavinet, synths), Stefano Cecchi (batteria), Giorgio Jon Darmin (organo), Storteaux (chitarra ritmica e solista), Dario Frasca (piano elettrico, synths) e Ilaria Bonetti e Massimo Silva (cori) riesce ad essere grintoso e travolgente come ai vecchi tempi. Chi ama le sonorita’ ’60 piu’ grezze ma venate di psichedelia non potra’ che lasciarsi coinvolgere dal sound dirompente dei Four By Art. Tutto il disco suona fresco ed essenziale fin dall’iniziale “Alive” mentre le tastiere donano un inconfondibile tocco psych all’insieme: ascoltare “Inner Sounds” e’ come salire su una macchina del tempo tarata per un viaggio negli anni ’60. La qualita’ media e’ molto buona e il disco non annoia mai, non ci sono momenti di stanchezza e anzi il coinvolgimento aumenta sempre piu’. Impossible rimanere insensibile a pezzi come la grintosa “I Ask You”, la travolgente “Allora mi ricordo” (unico pezzo cantato in italiano) o la deragliante “Home” solo per citare qualche titolo. “Inner Sounds” e’ un ottimo lavoro che conferma la vitalita’ dei gruppi che infiammarono con i loro suoni il grigiore degli anni ‘80’.

Scasso  12/09/2019


Smodati - Adesso che ti ho perso - Milano Reietta Rec. - CD rec (lim. 100 copies)

Esce per questa neonata etichetta discografica dedita a sonorità streetpunk e powerpop il terzo disco degli Smodati. Oramai postumo, visto che la band si è sciolta parecchi anni orsono e con una serie di canzoni, per la precisione 23, tratte da vecchi demo o masters che i "Ragazzi Gloriosi" non hanno inciso o, se lo hanno fatto, sono difficili da reperire. ma prima di parlare del disco diamo una rapida storia di chi sono stati: Gli Smodati: band dedita al power pop di ispirazione mod/punk britannica. Da Milano, con la passione per lo stile e la cultura mod, i Sixties, il british pop. Hanno all’attivo diverse produzioni underground (EP in vinile, CD, album e partecipazione a compilation italiane ed internazionali) ed hanno calcato palchi italiani ed europei (Spagna, Repubblica Ceca, Ungheria edInghilterra). Suonano una personale versione di power pop/mod ’79, italiano nei testi ma con l’orecchio volto ai suoni d’Oltremanica. Importante la partecipazione, prima ed unica band italiana, al Camber Sands Scooter Rally 2009 e 2010 (3-6 luglio 2009 e 2010, Camber Sands, East Sussex, England), dove hanno suonato con storiche band britanniche come Purple Hearts, Moment, Lambrettas. Con questo ultimo lavoro ci lasciano l'ultima testimonianza di un suono che rimarrà indelebile nel tempo e sarà sempre riprodotto da tutte le bands che nascono in periferie metropolitane, con la voglia di emergere e di esprimere il proprio disappunto per la società in cui vivono criticandola apertamente attraverso i testi delle loro canzoni. beh, diciamo che nel caso degli Smodati, i temi ricorrenti sono stati più uno spaccato della loro vita raccontata attraverso delusioni amorose, weekends "a tutta birra" delineando il loro stile di vita mod/powerpop.

Scasso  03/05/2019


Art School - Oxford Stones - Family Spree Rec. - LP

Dopo un distacco di quasi 20 anni dal loro primo "lavoro discografico" in cui questa band esplodeva con un suono powerpop per non dire mod revival 79, ora gli Art School tornano con un nuovo disco ed un suono completamente rinnovato: più pop/folk e cantautorale. Sono 13 canzoni con un suono molto Manchester per dirla tutta quindi un appiglio piu indie; i cui testi trattano quasi sempre tematiche personali o per meglio dire introspettive oppure punti di vista sul panorama. Oramai della vecchia formazione che era un trio è rimasto solo il buon Jordi Petit alla chitarra ritmica o acustica che dopo il suo peregrinare tra Murcia e la Catalonia ha concepito questo nuovo bellissimo e freschissimo LP a Barcellona registrandolo ai Railroad Track di Molins de Rei. Nel comporre la sua "Opera sonor" si è avvalso dell'esperienza di musicisti quali: Sergio Bastel al Basso, Carlos Campoy all'organo Hammond, Josep Pons alla batteria, Joan Calduch alla chitarra ed alle percussioni ed infine Jordi Montero al violino ed alla viola, che hanno apportato un notevole progresso e svecchiamento del suono originario dei vecchi Art School, facendogli fare un balzo avanti in maniera veramente magistrale. Personalmente consiglio il suono a chi è amante dei suoni Mod che guardano all'indie U.K. e vedrete che ne rimarrete positivamente impressionati.

Scasso  19/04/2019


Paul "Smiler" Anderson - MODART music and graphics, fashion and art, mod design, from the 1950's to 1990's - Omnibus Press - Libro

Esaminando e illustrando la scena artistica che circonda la nascita del Modernismo e la sua simultanea ascesa tra la fiorente scena Mod della classe operaia degli anni '60, il libro di Paul Anderson è il lavoro definitivo sulla cultura visiva del Modernismo. Con interviste di artisti chiave, membri della scena ed una ricca comprensione di come si formò la collisione tra arte di alto livello e cultura di massa, l'opera si rivolge agli appassionati di storia, musica, moda e arte. Splendidamente illustrato con un tesoro di centinaia di fotografie a colori di immagini famose, riscoperte e rare dell'epoca, il libro sarà letto e riletto per gli anni a venire. Paul Anderson, che precedentemente ha scritto anche "Mods: The New Religion", è stato uno dei migliori scrittori che parlano di questo argomento ed è stato considerato dalla critica un lavoro molto dettagliato che ha ben delineato la nostra sottocultura. Paul "Smiler" Anderson si innamorò del Modernismo nel 1979. Dagli anni '80 è stato coinvolto nell'organizzazione di numerosi eventi Mod, pubblicando fanzine ed organizzando come DJ serate in 60's/Mod clubs. E' stato anche co-curatore della più grande mostra sui Mods originali degli anni Sessanta, ed ha scritto molti articoli in riviste e relazionato su molti retro copertina in compilations di dischi che trattavano di musica Soul ed R'n'B.

Scasso  13/02/2019


The Creation - Creation Theory - Edsel Rec. - Cofanetto CD/Cofanetto LP

La recente dipartita di Bob Garner dovrebbe aver definitivamente fugato ogni probabilità di un’ennesima reunion, cosicché Creation Theory, lo splendido cofanetto piovutomi a casa direttamente dalle officine Edsel ha tutta l’aria del documento definitivo dei Creation, splendida creatura dell’epoca Mod/freakbeat inglese autrice di una manciata di singoli e di un unico album parecchi dei quali stampati all’epoca solo in Germania e di due tardivi “rientri in scena” che non ne avrebbero scalfito il mito ma neppure rinverdito i fasti. I Creation così come li conosciamo noi nascono ufficialmente nell’aprile del 1966, quando il manager Tony Stratton-Smith impone alla band un repentino cambio di bassista, un nome più moderno ed evocativo e un look in linea con l’eleganza ribelle dei mods. Fino a quel momento i Creation non sono altro che una delle tante band che suona sei giorni su sette per i locali di Londra portando a spasso un piccolo repertorio di canzoni americane. Si chiamano Mark Four e fra un concerto e l’altro hanno il tempo per registrare quattro singoli e pubblicarli su tre etichette come Mercury, Decca e Fontana. Risibili i primi due, già più interessanti i rimanenti man mano che la band decide di abbandonare le cover per dedicarsi ad un repertorio autoctono e di lanciare i primi “flash purpurei” per i quali diventeranno famosi e che sono dovuti all’estroso stile chitarristico di Eddie Phillips. Il cambio di rotta obbligato da Strat impone però una rapidissima sterzata, sicchè quando nel Giugno del ’66 viene pubblicato il singolo Making Time/Try and Stop Me i Creation sono davvero una band dal suono esplosivo. L’uso creativo del feedback e dell’archetto per violino strofinato sulle corde della chitarra fa di Making Time un pezzo dal fortissimo impatto, esasperato dalla produzione sapiente di Shel Talmy, l’uomo che ha acceso di furia pre-punk canzoni come You Really Got Me, My Generation, All Day and All of the Night, I Can’t Explain. È una canzone dal piglio ribelle, selvaggio, recalcitrante e indisciplinato quanto basta per piacere ai giovani. E i giovani sono il mercato. Strat aveva visto giusto. La replica non tarda ad arrivare e a ottobre il secondo singolo supera in arroganza e bellezza quanto fatto quattro mesi prima. Painter Man sfrutta gli stessi trucchi di Making Time, con Eddie Phillips che manovra l’archetto come fosse uno scudiscio sulla carne di un cavallo imbizzarrito mentre Biff, Bang, Pow è una corsa a ostacoli tra le allora celebri scritte onomatopeiche dei classici telefilm di Batman colorata da un piano boogie e sorretto da una ritmica implacabile. Le cose tuttavia precipitano a gran velocità, nel microcosmo dei Creation. Stratton-Smith e Kenny Pickett lasciano la band uno dopo l’altro costringendo il bassista Bob Garner ad assumere le veci di cantante e a cercare fortuna in Germania dove tirano su alla bell’e meglio, con qualche cover un po’ sciapa di pezzi altrui, il loro unico album. Lo stile del gruppo a quel punto si adatta al timbro soul di Bob producendo canzoni come If I Stay Too Long e Cool Jerk prima di impennarsi sulla pista del montante fenomeno psichedelico con pezzoni come How Does It Feel to Feel e Through My Eyes. La produzione prosegue per tutto il 1968 con continue defezioni ed ingressi (tra cui anche, per un paio di singoli, il futuro Rolling Stone Ron Wood) prima di arrestarsi del tutto. O quasi. Perché quasi due decenni dopo, i Creation serrano le fila reclutando Mick Avory dei Kinks per realizzare un modesto album tronituonante di fiati, tastiere e ritmi da FM che manco la Electric Light Orchestra utilizzerebbe. Talmente brutto o comunque talmente fuori dai “canoni” Creation da venire stampato solo nel 2004. Il rientro in scena ufficiale è invece del 1994, con la vecchia line-up ormai riappacificata e un nuovo contratto con l’etichetta fondata da Alan McGee ispirandosi proprio a loro nella scelta del nome e in parte dei contenuti. L’idea iniziale, ovvero quella di pubblicare un solo singolo che abbia per titolo lo stesso della band e dell’etichetta non solo viene realizzata (e pubblicata infatti col curioso titolo Creation by Creation for Creation) ma superata in corsa dalla registrazione di un intero nuovo album dal titolo Power Surge. A curarne la produzione è lo stesso Alan McGee, gasatissimo dall’idea di avere fra le mani i suoi idoli di sempre, ma il risultato ovviamente non è che un pallidissimo riflesso dei Creation di trent’anni prima e di canzoni memorabili, neppure l’ombra. La corposissima sezione audio di questo cofanetto raccoglie ovviamente tutti e tre gli album e i singoli della formazione, compresi quelli nel primitivo assetto dei Mark Four anche se la vera novità è costruita dalle riedizioni in stereo che occupano buona parte del secondo disco (comunque identiche a quelle uscite in simultanea sull’antologia Action Painting pubblicata dalla Numero Group). Il DVD che occupa il quinto disco mette invece assieme le storiche apparizioni al Beat Beat Beat che avevano contribuito in maniera determinante al successo della band nel circuito tedesco e due concerti al Mean Fiddler di Londra del ’93 e del ’95 ma anche qui la cosa veramente inedita è una recentissima intervista a Eddie Phillips registrata nel Marzo del 2017 proprio come commento al contenuto del cofanetto. L’intera “teoria sulla Creazione” dunque. Fino all’estinzione.

Scasso  08/02/2019


The Action - Shadows and Reflections (the complete recordings 1964/66) - Cherry Red Rec. - Cofanetto 4 CD

Bisogna dire una cosa dei Mods originali, non tutti amavano andare a vedere concerti di loro coetanei che facevano covers dei cantanti di soul, rhythm'n'blues o jazz. In realtà possiamo dire che gli Action siano stati creati nel modo giusto per scalare le classifiche di quei tempi - in Reg King avevano un grande cantante Soul, tra i migliori del Regno Unito insieme a Steve Marriott. I musicisti, Alan "Bam" King e Pete Watson sulle chitarre e una sezione ritmica composta da Roger Powell e Mike "Ace" Evans, erano molto abili nell'emulare i più recenti suoni dance dall'altra parte della barricata con un punch Mod aggiunto. Certo, anche loro impersonavano davvero la parte, cool ma con una strana aria selvaggia. Nonostante una parentesi con la Parlophone e con il produttore dei Fabs George Martin e Abbey Road a loro disposizione, non sono mai riusciti a fare un salto in classifica. Niente a che vedere con la qualità dei loro sforzi, quel colpo non sarebbe venuto. Per quanto riguarda i Mods, forse quello che è abbastanza strano ha funzionato a loro favore, mantenendo la band come Ace face sulla scena. Parte del motivo per cui gli Action potrebbero non aver turbato la classifica è che si basavano piuttosto sulle versioni di copertina. Dei cinque singoli pubblicati da Parlophone (un EP solo francese è stato rilasciato nel 1967), solo Never Ever è stato auto-firmato. È una melodia raffinata e ci si chiede perché non abbiano avuto la testa per scrivere di più, ma molte band del tempo hanno puntato su una canzone familiare degli Stati Uniti per stabilirle inizialmente un feeling con il loro pubblico. Semplicemente tutto ciò non è successo negli Action. Erano comunque grandi interpreti delle canzoni, in particolare la loro versione straordinaria di: "I'll Keep Holding On" delle Marvelettes, un vero classico. La prima parte di questa collezione presenta gli Action nella loro fase Mod Soul in piena regola. Tutti i singoli includono i due lati, con il debutto della bella: "Land Of One Thousand Dances" una versione molto vivace con alcuni bei riffs di chitarra (in realtà i chitarristi Bam King e Pete Watson sono spesso una gioia trascurata nelle prime registrazioni degli Action) e mai più in realtà sarebbe stato un successo - suonare la chitarra era come guidare il vero pop sound nella band - avevano molto carisma. L'ultimo singolo: "Shadows And Reflections" ha dimostrato che potevano essere tagliati durante la fase Flower Power e "Come On, Come With Me" è brillante e rimbalzante, con tocchi alternativamente acustici e tintinnanti. Dirò che a volte sembra che ci sia un po 'troppo in corso, le sovraelaborazioni innestate dalla produzione non sempre sono in grado di essere l'obiettivo messo a fuoco in maniera naturale dalla band. La compilation del 1980 The Ultimate Action reintrodusse la band negli anni del revival Mod, ma questa nuova collezione è più meritevole di quel titolo. Il formato del libro è eccezionale, inclusa una lunga e informativa storia degli Action di David Wells con l'input della band e una dettagliata suddivisione delle sessioni di registrazione. Progettato con cura anche con molte fotografie d'epoca. Tutto ciò si aggiunge a una storia degli Action molto ben sviluppata e completa, che è più che mai un ascolto rinvigorente. Un cofanetto con stile reale, amore e attenzione ai dettagli, è esattamente quello che avrebbero voluto quelle lame ultra affilate che chiamavano gli Action.

Scasso  23/01/2019


Claire Mahoney - Welsh Mod - Gomer Press - Libro

Un libro autoprodotto stampato in maniera professionale ed in copertina rigida, ci introduce a quella che è stata o è la scena Mod nel Galles. Devo dire che i racconti personali di circa una 30ina di Mods sono spassosissimi e veramente ti portano a riflettere di come la scena fu florida negli anni 80 e primi 90 e di come ad oggi come tutti i movimenti sottoculturali britannici, anche quella gallese viva di persone tutte diciamo "grandicelle" e con una discreta difficoltà nel ricambio generazionale. Il libro parte naturalmente dal boom dato dal revival degli anni '80 fino ai giorni nostri, insomma 3 generazioni di ragazzi che si sono avvicendate ed hanno portato avanti la cultura Mod in quelle terre abbastanza periferiche per non dire dure. Con le loro gioie e delusioni e anche le loro esperienze di vita questi "ragazzi" cercano di trasmettere tutto il loro bagaglio culturale e di lasciare una traccia ben presente nella scena Mod europea. Il libro è scritto in maniera scorrevole, pieno di foto ed ha un'ottima grafica. Consigliato a chi vuole conoscere anche questa sfaccettatura del modernismo d'oltremanica. Per richiederlo scrivete o andate sul loro sito: www.welshmod.co.uk il costo è di 25 sterline.

Scasso  22/01/2019