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Dani Llabrés - Mods El estilo y la estética de los Mods originales - Lenoir Edicciones - Libro

Ieri ho avuto tra le mie mani dopo averlo aspettato con ansia, la mia copia di" Mods: lo stile e l'estetica dei mods Original "(Lenoir), il nuovo libro che Dani Llabrés e Tete Navarro che sono riusciti a polverizzare le mie più alte aspettative. Dani aveva già visto le foto dei modelli originali dei Mods di quei tempi. E conosceva anche l'incredibile opera di Navarro che hanno reso questo libro un incontestabile oggetto d'arte pop. Oltretutto il sottoscritto ha già più che familiarità con l'agile, concisa e colorata prosa di Llabrés, al quale è legato alla sua bella amicizia da più di un quarto di secolo. Ma anche conoscendoli bene non potevo immaginare che sarebbe diventato un libro così straordinariamente bello e obbligatorio per molte persone. Non solo per i Mods. Non solo per i fans degli anni 60. Non solo per gli amanti delle illustrazioni Pop e Underground. Non solo per gli accumulatori di libri su sottoculture. Non solo per gli appassionati di moda e stile. Ma soprattutto perché questo libro spiega, con dettagli orafi, un momento cruciale nella storia dell'estetica della società occidentale. Ciliegia sulla torta è il prologo a nome di Mocky e Alvaro "Dimples" in cui l'ethos per l'estetica del Modernismo e del significato del concetto staccato dalla nozione di stile viene descritto in maniera molto chiara. Infine l'epilogo che mi da' forti palpitazioni è l'essere felice di sapere che ho tra le mani un libro così perfetto.

Alberto Valle  03/12/2018


Paul Weller - True Meanings - Parlophone Rec. - CD digipack/CD deluxe/LP

Paul Weller è giunto al traguardo dei sessant'anni sperimentando come pochi. Tuttavia, al suo pedigree mancava ancora qualcosa: un album di puro cantautorato, quasi da crooner, impreziosito da elementi orchestrali in grado di far librare la sua voce. Più in linea con alcuni brani composti per la colonna sonora del film "Jawbone" (2017) che con l'ultimo album solista "A Kind Revolution", Paul Weller questa volta ha aperto le porte ai suoi pensieri più intimi e, contemporaneamente, anche ai suoi Black Barn Studios, chiamando a sé veterani di diversa epoca ed estrazione come Rod Argent degli Zombies, Martin Carthy, Lucy Rose, Danny Thompson dei Pentagle e persino Noel Gallagher (il cui contributo, nei fatti, consiste soltanto in due brevi cameo). Il risultato di "True Meanings" è un disco che attinge alle tendenze dei cantautori folk-rock come Nick Drake e Neil Young, portando nello stesso tempo in dote l'eleganza di Weller e un songwriting decisamente più rilassato e positivo, merito anche della componente orchestrale, capace di fare emergere quella che è la vera protagonista del disco: la sua voce. A dichiarare gli intenti ci pensa già il funk-jazz di "The Soul Searchers", le cui parole sono state scritte da Conor O'Brien dei Villagers. Chitarre acustiche, archi drammatici, persino il suono nefasto dell'organo Hammond suonato da Rod Argent: viene servita così la colonna sonora perfetta per tutti gli esami di coscienza che si fanno al chiarore della luna. Weller scandisce delicatamente ogni sillaba, come fosse parte di una narrazione o di qualche rito propiziatorio: che siano le immagine pastorali di "Glide", decantate a tono basso appena sopra le chitarre acustiche, l'intro glam-rock di "Mayfly" o le ricche orchestrazioni di "Gravity", poco importa. Un filo rosso c'è, spesso sospeso sui contrasti propri dell'animo umano, come è il caso di "Wishing Well" in cui tanto forte è il richiamo verso il Neil Young acustico nelle strofe, quanto la voce di Weller si fa inaspettamamente risoluta sul ritornello, fomentata dalla presenza del vibrafono nel mezzo del brano. Per il suo quattordicesimo album solista, Weller ci mette tutto se stesso, contraddizioni incluse: dalla poesia erotica di "Come Along" al misticismo harrisoniano di "Books" (con tanto di sitar di Sheema Mukherjee e la breve apparizione dell'harmonium di Noel Gallagher), fino a quello che è l'opus magnum del disco, l'ambiziosa e drammatica "May Love Travel With You", in cui domina l'elemento classico e orchestrale. Sebbene Weller abbia scritto personalmente la maggior parte del repertorio, i numerosi musicisti ospiti lasciano più di uno zampino evidente, che siano i valzer maliziosi di "Old Castles", le disperate cantilene pop-soul di "What Would He Say" e "Movin' On" o il cantautorato puramente british di "Aspects", non a caso scelto come singolo di lancio. Il fantasma più inaspettato è però quello dell'ex-nemico David Bowie, in un brano riflessivo sulla morte e la vita; un pezzo che sembra provenire da tempi e luoghi remoti, e risulta davvero difficile trattenere le lacrime quando Weller canta: "Do you know there's no journey?/ We're arriving and departing all the time/ You were just mortal like me". Archi e chitarra acustica segnano quella che, di fatto, è la discesa tra i mortali del compianto Major Tom che, al termine di una lunga faida durata fino agli anni Zero, per sancire la pace chiese scherzosamente a Weller di dargli indietro il suo taglio di capelli. L'album si chiude con il coinvolgimento di Erland Cooper per il testo di "White Horses", che mostra ancora una volta la volontà di Weller di voler ridefinire se stesso attraverso altri punti di vista lontani dalla sua generazione, senza mai tuttavia abbandonare quel linguaggio provocatorio che lo ha sempre contraddistinto. Si tratta di una conclusione perfetta, merito soprattutto del mellotron di Rod Argent capace di inserirsi con gentilezza tra gli archi, gli arpeggi della chitarra e i rintocchi del glockenspiel. Probabilmente alla fine non sarà l'album più rappresentativo della carriera di Weller, ma di certo - finora - risulta uno dei più intimi e personali. Impeccabile nell'arrangiamento e nella produzione, il Modfather ha saputo regalare un disco che lo ritrae come un raffinatissimo cantautore: e se, come si suol dire, la vita inizia a sessant'anni, Paul Weller dimostra di avere ancora molto da offrire.

Scasso  05/10/2018


Miles Kane - Coup the Grace - Virgin/Emi Rec. - CD/LP

Miles Kane è sicuramente uno dei più influenti alfieri della scena mod-revival degli anni 2000 (e non a caso testimonial per Fred Perry), chitarrista dei Little Flames agli albori, frontman dei The Rascals poi, prima di intraprendere una fortunata carriera personale tra dischi in proprio e la celebre collaborazione con Alex Turner con il progetto The Last Shadow Puppets. Questo album, terzo da solista in studio, esce dopo ben 5 anni dal precedente, visto e considerato anche l’importante intramezzo con i richiamati Puppets. Il titolo è da ricondurre al mondo del Wrestling (una delle sue fiction preferite, a detta dello stesso Kane), nello specifico alla mossa finale dell’irlandese Finn Bálor. Kane attinge da decenni di rock di matrice albionica, sia nelle sue vesti più punk, come in quelle più beatlesiane o più glam, senza timore di peccare di scarsa innovatività, fantasia ed eccessivo conformismo. Con tanta sicurezza di sé, tanto istrionismo, parecchia sfacciataggine, senza paura di avere tutta la luce dei riflettori puntata addosso. Per quanto si tratti di un dichiarato break-up album, il tono dei pezzi non è affatto dimesso o rasegnato; anzi, siamo di fronte al più rockeggiante dei tre dischi sinora proposti dal buon Miles. I pezzi più tirati sono molto aggressivi e frullano insieme Buzzcocks, The Libertines, e i primissimi Supergrass, in un vortice di chitarre taglienti e ritmi serratissimi ("Too Little Too Late", "Cold Light Of Day", "Silverscreen" – quasi stoner - , "The Wrong Side Of Life" – originale e blueseggiante - , "Something To Rely On"). I ritmi rallentano solo nella languida "Killing The Joke", che recupera gli ingiustamente dimenticati Oasis di "Standing On The Shoulder Of Giants", e nei delicati rintocchi di piano della chiusura "Shavambacu", mentre il gioco delle citazioni negli altri pezzi si fa divertente e sapientemente dosato (Marc Bolan nella strepitosa "Cry On My Guitar", gli ultimi Red Hot Chili Peppers nel succitato singolo "Loaded", un Bowie strafatto di funky nella bella titletrack). Certo, il lavoro non brilla per originalità né melodica, né strumentale, tantomeno compositiva: ma l’immagine che “Coup de Grace” ci lascia è quella che il 32enne del Merseyside non stia né scappando, né rincorrendo, bensì sia perfettamente a proprio agio sulla strada che sta percorrendo. Viene quindi da chiedersi: è davvero Miles Kane il più credibile erede di Paul Weller?!? Ai posteri l'ardua sentenza....

Scasso  13/09/2018


Stone Foundation - Averybody, Anyone - 100% Rec. - CD/LP

Accolti sotto l’ala protettrice di Paul Weller, per gli Stone Foundation è iniziata una nuova carriera, un’accelerata decisiva nel sound e nell’attitudine di questo quintetto che fino a non molto tempo fa fluttuava sullo sfondo delle scene britanniche. Due dischi in due anni sono il frutto di una collaborazione proficua e interessantissima, confermata nel disco targato 2018, “Everybody, Anyone” (il quinto in studio), che arriva a un anno dalla pubblicazione di “Street Rituals”, il primo lavoro con Weller in cabina di regia. Questa volta, il Modfather abbandona il ruolo di produttore com’era stato per il precedente disco, mantenendo però l’aura di “deus ex machina” e ispiratore dell’intera opera. La mano dell’ex Jam, che ha registrato diverse parti di chitarra e i cori, si nota e come: il sound maturo e corposo della band capitanata da Neil Jones e Neil Sheasby risulta notevolmente influenzato dai gusti di Paul e galleggia tra l’acid jazz britannico di gruppi come Jamiroquai, Incognito e James Taylor Quartet (Sweet Forgivenes, Standing on the Top, Please Be Upstanding, Rise Above It) e il blue-eyed soul (marchio di fabbrica della band) allievo della grande scuola “black” americana, impreziosito dall’inserimento di cori gospel (Give the Man a Hand, Belief, Heavenly Father). Il prodotto finale è raffinato ed elegante, senza orpelli superflui e suoni impastati. L’influenza welleriana aggiunge a tutto il sound quel tocco seminale che fu degli Style Council, tra funk, latin jazz e bossa (Next Time Around, Carry the News), tant’è che il Modfather ha coinvolto nelle registrazioni anche i vecchi compagni di viaggio degli anni ’80 Mick Talbot (tastiere) e Steve White (batteria). C’è posto anche per altre prestigiose collaborazioni, portate nel curriculum della band dal “padrino” Weller: per distacco il brano migliore del disco è Only You Can, registrato con Hamish Stuart, santone scozzese del soul e del funk bianco con la sua The Average White Band, che porta alla massima esaltazione il groove fiatistico dell’intero disco. Sorprendente, ma altrettanto riuscita, la collaborazione con la cantautrice folk inglese Kathryn Williams, che compare nella bella jazz ballad Don’t Walk Away. Ricco, coinvolgente e carico di atmosfera e anima, “Everybody, Anyone” è il disco della consacrazione per una band esplosa tardi, ma che ha premiato l’attesa del pubblico con prodotti di qualità notevolissima. Promossi a pieni voti Jones, Sheasby e anche il buon vecchio Weller.

Scasso  05/09/2018


The Spitfires - Year Zero - Hatch Rec. - LP/CD

Ero interessato a vedere cosa avrebbero fatto il 4 ragazzi di Watford con il loro terzo album. Il loro primo album "Response" è stato rilasciato nel 2015 con grande successo di critica, ma il loro secondo album "A Thousand Times", pubblicato l'anno seguente, ha avuto recensioni contrastanti, passando da un solido suono British Beat a un sound più indipendente. Detto questo, entrambi gli album hanno raggiunto il punteggio numero 6 nelle classifiche indipendenti. Sono d'accordo con le classifiche in quanto entrambi gli album erano buoni a mio modesto parere. Date le loro influenze della musica mod dei 60's, del reggae e dello ska, fino al punk e al soul. Con il frontman Billy Sullivan, è molto facile fare paragoni con i Jam, e questo potrebbe aver portato alla direzione leggermente diversa il secondo album. Non faro' quindi paragoni con la band di Paul Weller, poiché sospetto che sia faticoso per gli Spitfire ora discostarsi dalla sua ombra. Sono la band che sono, e non sorprende che ci dovrebbero essere somiglianze tra il loro modo di suonare e la musica che li ha influenzati. Gli Oasis suonavano come i Beatles, Greta Van Fleet suonava come i Led Zeppelin, e una vecchia band degli anni '60 chiamata Rolling Stones iniziava a suonare come Muddy Waters, o Little Walter e tutto questo penso che non abbia fatto loro alcun danno. Quindi, senza ulteriori indugi recensisco il terzo album: 'Year Zero', che si apre con 'Remains The Same' quasi a confondere i loro critici, la traccia inizia con un intro gentile, seguito da un riff di chitarra molto indie e quando inizia il cantato, c'è un riconoscibile tocco di beat britannico, nel complesso la canzone dà il tono per l'album che è uno inno di disperazione per i giovani della classe operaia, e fornisce un inizio incisivo all'album. Le trombe nell'interludio in questa traccia sono incredibilmente buone. 'Frontline' ha un tocco New Wave su di esso una chitarra incisiva e la tastiera di George Moorhouse che creano un vero mix di stili che assieme alla voce di Billy diventano fantastici. 'Over And Over Again' ha un'intro della tastiera, che ricorda molto i Nutty Boys stessi, e include di nuovo potenti trombe. Abbiamo un po' di Ska con 'Something Worth Fighting For', dall'intro di ottone e il riff di chitarra lenta che si spostano nello stile più riconoscibile della chitarra. Ha un sentimento malinconico rafforzato dalle trombe e dal ritmo lento. Questa traccia vale da sola per l'assolo di tromba. Finora non c'è stato niente di imprevedibile in questo album, ma poi siamo arrivati ​​a "By My Side". La semplice intro della tastiera dà un tocco diverso alle tracce precedenti. La voce di Billy è chiara e triste, e all'inizio sembra una canzone riflessiva. Poi la cantante dei cantanti è entrata nel vivo e per il resto della canzone è un duetto. Il ritornello è veloce e solleva tutto lo spirito della canzone. George Moorhouse ha la possibilità di brillare su questo come le sue tastiere sono lo strumento più importante in pista. C'è anche una buona linea di basso di Sam Long. La canzone sale ed è veramente bella. 'Move On' è tornato ad un suono Ska tagliente, con percussioni eccellenti di Matt Johnson dove c'è un riff di chitarra orecchiabile e un bel coro. Qui è possibile ascoltare le influenze dei Clash in tutta la traccia. Questa influenza continua con la canzone 'Sick Of Hanging Around'. Le voci rimbalzano insieme al ritmo della traccia, conferendole la qualità di un anthem. L'album cambia direzione con la title track "Year Zero" che è una cacofonia di dub elettronica di suono futuristico. Poi fin troppo presto l'album termina, in modo più tradizionale con "Dreamland", che è un pezzo con un tempo lento: la Città fantasma per una nuova generazione. L'ordine di produzione e di esecuzione dell'album è perfetto e il mix di canzoni funziona davvero bene. Questo è un album che soddisferà tutti i fans degli Spitfire e probabilmente sarà ancora vincente. È New Wave per una nuova generazione, non è un album come Clash, Specials, Madness o i Jam. È vero che le influenze possono essere ascoltate in questo album, proprio come le influenze possono essere rilevate nella maggior parte degli album. Questo è un album degli Spitfires ed è maledettamente buono!!! Quindi, se ti sono piaciuti "Response" e "A Thousand Times", ottieni "Year Zero". Se non ne hai nessuno, ma ti piace il powerpop prendili tutti e tre!!!

Scasso  23/08/2018


Mike Painter and Viola Road quinted - Nothing changes - Sexy Groovy Rhythms Rec. - LP/CD

ll Soul è una cosa seria, chi si cimenta in questo genere non può essere un mediocre suonatore o avere una discreta voce, tutto deve essere ad un buon se non ottimo livello. Mike Painter è una “vecchia” conoscenza nel panorama musicale italiano, se volete, underground. Sulla scena dai primi anni ottanta con i Four By art, gruppo storico della scena Mod Milanese dove; una volta concluso questo progetto, Mike, non si ferma e continua a proporre musica con altre bands fino a creare progetti da solista. L’ultima “creatura” ha il nome di MIKE PAINTER and VIOLA ROAD quintet che annovera musicisti di ottimo livello. Il progetto arriva a dare alla luce due album, il secondo, in uscita a questo giugno 2018 è: “Nothing Changes” composto da dieci brani di cui: quattro cover e sei composizioni originali tutte firmate dalla coppia Michele Pingitore – Viola Romani Adami. Soul, funk, Northern Soul, di matrice 70s e 60s, si fondono in un prodotto di notevole fattura. Il taglio è sartoriale, studiato, senza sbavature, anche le cover hanno un’impronta propria, naturalmente, l’organo Hammond suonato da Mike prevale ed accompagna la splendida voce di Viola; ottimi fiati, chitarra e batteria completano il quintetto. Un disco elegante, come vuole la tradizione hammond/Jazz, che ti fa venir voglia di scatenarti in pista. La scelta delle covers non è mai banale da: “Gone With The Wind Is My Love” di Louis Barreto ad una intensa ”I Put A Spell On You” di Jay Hawkins. L’inedito “Picture Me” sembra uscita da un film di James Bond, quelli con Sean Connery. Da segnalare la bella e con un ottimo ritmo “I’m a Dreamer Today”, la strumentale “Soon Or Later” e “Your Name” che chiude l’album con fiati e chitarra in evidenza. Un disco piacevole dove arrivi alla fine e torni a risentirlo, ottimo in una serata cool e relax con amici. Registrato nei Groove Studios di Milano, mixato, masterizzato e prodotto da Mike Painter, questo è uno dei migliori prodotti nazionali che sono usciti quest'anno. Consigliatissimo!!!

Scasso  22/08/2018


Cooper - Tiempo Temperatura Agitacion - Elefant Rec. - LP/CD (digipack)

Dopo un lungo periodo di riflessione, mancava una figura chiave per capire la storia del pop in Spagna in quanto e questo è il caso Alex Díez in arte Cooper. Sono trascorsi sette anni da quando Leonese ha pubblicato quella che è stata la sua ultima uscita, "Mi Universo" (Elefant, 11), e mentre l'attesa è stata ravvivata con l'uscita di un singolo e della generosa compilation "Popcorner. 30 Años Viviendo En La Era Pop" (Warner, 16), la verità è che l'autore sembra essere concentrato sulla pubblicazione di libri musicali (interessanti) attraverso la sua casa editrice Chelsea. Il fatto è che l'ex Flechazos presenta finalmente un nuovo lavoro di studio, specificato in un decalogo alla vecchia maniera e come richiesto dai canoni tradizionali. Perché il contenuto dell'album è anche classico, con quel pop un po 'nostalgico ma sempre brillante e colorato - oltre che dettagliato e solido - che il musicista riesce a gestire così bene. Un suono retrò che non passa mai di moda, con la mancanza e il retrogusto degli anni '60 al power-pop, anche se questa volta le chitarre sono un elemento meno marcato, ossigenando così (ancora di più) le melodie. Una preferenza che potrebbe essere intesa come un lampo di maturità creativa, se non fosse per l'illusione giovanile che trabocca che colonizza l'intero LP. L'ottimismo viene fuori con i soliti motivi che ispirano il nostro compositore: viaggiare, la città, la danza, il sole e l'estate, o semplicemente la fuga, accompagnati da una nuova band che presenta Mario Álvarez alla chitarra e Daniel Montero al basso. "Tiempo, temperatura, agitaciòn" (Elefant, 18) include diversi brani che, per verticalità ed empatia immediata, potrebbero benissimo diventare parte del repertorio eccezionale del gruppo, nel caso di: "El ultimo tren" - il brano più bello con cui si apre la consegna: "Salto", "Graciela" o il singolo infallibile: "Infinito". Il lavoro è completato con altri punti salienti come l'infallibile e semplice: "Luz", oppure: "Ya llegò el verano", una potente: "Dos Grados Bajo Cero" debitore dei The Boo Radleys o "Telerañas", in quello che è un suono vicino e bello come alla dura malinconia . Gli albums di sonorità Mod spagnole per eccellenza emanano sempre un romanticismo classico che abbaglia, oltre a perpetrare un apparente edonismo coscienziosamente lavorato alla ricerca della qualità. Anche senza essere la sua migliore raccolta di canzoni (il lavoro era stato molto più alto in precedenti occasioni), possiamo dire che gli mancava davvero quello stile pulito e accurato di Cooper. Brani di tre minuti che dopo solo un paio di ascolti costringono a condividere ritornelli per urlare, arrangiati con la solita eleganza e legati insieme al ritmo. Il cantante ha il dono di impregnare la sua musica con quell'impronta, in un'abilità attiva fin dai primi giorni della sua prima band: Los Flechazos e su cui il musicista sembra non aver perso il talento.

Raúl Julián  13/06/2018


Brighton 64 - El tren de la bruja - BCore Rec. - CD/2LP

Terzo lavoro dal loro ritorno nel 2012, con le loro nuove idee, lungi dall'essere esaurite, si moltiplicano: questo loro nuovo lavoro potrebbe essere visto come un'opera rock Quadrophenica del XXI secolo, una ventina di canzoni da un libretto di Carlos Zanón su Rai, ex leader di un gruppo di rock fittizio, che decide di sperperare il suo progetto di famiglia, riunire i membri della sua vecchia band e riprendere la sua carriera artistica. Molti dei temi sviluppati episodi o personaggi della "storia di Zanon" si trasformano in canzoni come: "Elwood y Jake", "Cadena de trasmission", altre invece possono sembrare più lontano dalla trama come: "My mierda naranja'' o "Quién matò al gato?" ed infine: "Despiertar de un sueno", ma l'album nel suo complesso sembra il diario di un musicista anni cinquanta dove: "Ensayos de cobardes" ci trasporta nell'atmosfera rancida, sudata e malsana della sala prove da dove tutto è cominciato: "Cadena de trasmision" è come fosse una lettera d'amore da parte di un gruppo veterano ad una band debuttante, "El Tren de la Bruja" oppure "El poster de Samantha Fox " è come se parlassero di miti antichi, ora trasformati in angeli caduti ... molte delle parole sono scritte con una vena comica squali: '' No tengo tiempo para comprar discos / ni llevar la moto al taller / No me gusta lavar los platos / pero alguien lo tiene que hacer ''. Musicalmente, il peso del compositore cade questa volta a Albert, la cui chitarra, più nitida e più forte che mai, suona un po' più allo stile di bands quali: Green Day o Redd Kross che a The Jam. Complessivamente anche questo è un ottimo lavoro da parte di una band che si ama e non si discute!!!

Scasso  08/06/2018


Corduroy - Return of the Fabric Four - Acid Jazz Rec. - LP/CD (digipack)

C’era una volta l’acid jazz, ve lo ricordate? Era l’inizio dei ’90 e il sound di gruppi di successo come Incognito, Brand New Heavies e Jamiroquai portavano addosso quella curiosa etichetta (nei due sensi, essendo anche il nome di una casa discografica le cui produzioni sono un fiore all’occhiello del genere). Figlio dell’età delle contaminazioni e nipote di dischi spartiacque per la storia del jazz tutto (Headhunters di Herbie Hancock, con la sua fusion geniale), l’acid jazz è un’idea di fusion molto più frizzante che acida come la intenderebbe un rocker, che strizza l’occhio al funk, al soul, all’elettronica da club, alla disco, e flirta con l’easy listening e il pop. È di questa scena che facevano parte i Corduroy, oggi di nuovo in pista sulla stessa label (la Acid Jazz, appunto) che li aveva tenuti a battesimo e per cui avevano inciso i primi tre album. Nel caso suggestivo di questi quattro londinesi, i gemelli Addison, l’ex Doctor and the Medics Richard Searle e Simon Nelson-Smith, il nu jazz si andava e tuttora si va a sovrapporre con la risorgenza di exotica, lounge, delle colonne sonore dei film di genere e delle altre strange musics più o meno incredibili, incanalate nelle curiose navigazioni a metà tra revival, stracult e postmodernità di cui le cronache musicali del periodo si erano pure infatuate. Il nuovo album Return of the Fabric Four concettualmente è una soundtrack fatta e finita, di un film di cui avremmo anche il titolo e la copertina – stilosa replica di certe locandine anni ’60-’70. I suoi strumentali sarebbero perfetti per una blaxplotation, un poliziottesco o per un party revival a tema: stiloso funk da aperitivo con le bollicine (la title-track), tanta fusion sbarazzina, il tocco exotico-tropicalista (la bossa nova di Sambarella), anche un po’ di twang e chitarra distorta – più del wah wah su cui i Nostri tenevano volentieri il piedino in dischi della prima ora come Out of Here – a duettare con l’Hammond su una morbida lounge (Blackmail), e una punta di r&b battente bandiera Union Jack (il beat di Saturday Club, raro brano vocale con echi di Who). Il tutto suonato con un’eleganza catchy che rende fresca e vivace la sua collezione di stuzzicanti cliché. Sempre di cliché si tratta, a essere pignoli; rivoluzionaria, la musica dei Corduroy non è in fondo mai stata, ma sempre elegante, ben suonata e groovy. Cosa che anche questo ritorno a grandi linee conferma.

Scasso  05/06/2018


John Simons - A Modernist - Mono Media Films - DVD

A Modernist, è un film documentario su "L'eroe sconosciuto del menswear britannico" e "l'influencer dell'influencer" e, naturalmente, l'uomo che ha dato il nome alla giacca Harrington. Diciamo che qualche pedigree questo stilista lo ha, per non dire molti. Il film è opera di Jason Jules, Lee Cogswell e Mark Baxter e presenta interviste esclusive con i musicisti Kevin Rowland, Suggs e Paul Weller, l'emittente Robert Elms, l'esperto d'arte Ronnie Archer Morgan, il guru della pubblicità Sir John Hegarty e Sir Paul Smith. La storia raccontata è descritta come il segreto meglio custodito degli uomini britannici. Il nome di John Simons è una delle poche persone che hanno sentito quasi tutti i mods, ma a cui ogni uomo con una camicia decente o un paio di mocassini ben fatti è in debito. Raccontata dai suoi amici, familiari, fan, così come la racconta egli stesso, questa è la storia definitiva di John Simons. In termini di vendita di abbigliamento da uomo, che ha avuto inizio negli anni '50, in seguito ha ispirato e istigato una serie di stili di strada e sottoculture tra cui Mod, Skinhead e Suede Head. Che tu te ne renda conto o no, John Simons è stato responsabile nel plasmare il modo in cui molti di noi si vestono. Ma il documentario ha lo scopo di dimostrare che si tratta di qualcosa di più della semplice vendita al dettaglio di vestiti. Il concetto di John Simons riguarda il Modernismo e una "mentalità d'avanguardia". Un modo autentico che sa vedere e prevedere tutto: dall'arte all'architettura, alla musica e oltre, che rende la sua storia così avvincente e unica. Come ho già detto, è davvero un documentario da tenere d'occhio e da non perdere. FONDAMENTALE...e ancora grazie Mr Simons!!

Scasso  07/05/2018


Martin Freeman & Eddie Piller - Jazz on the corner - AcidJazz Rec. - 2CD / 2 LP

Acid Jazz Records compie 30 anni e per celebrare il suo anniversario ha pubblicato il 23 marzo una compilation davvero speciale. L’illustre etichetta indipendente londinese, nata nel 1987 grazie ai due disc jockey Gilles Peterson e Eddie Piller, fu la promotrice, durante la fine degli anni ’80 e per tutto il decennio dei ’90, di un nuovo stile di jazz: l’acid jazz. Funk, fusion, soul e addirittura l’elettronica, sono state le contaminazioni che hanno influenzato questa nuova corrente musicale. Jazz On The Corner è stata curata dallo stesso Eddie Piller e da un ospite di eccezione, Martin Freeman (Lo Hobbit, Sherlock), legati da una lunga collaborazione in alcuni programmi radio. L’attore non nasconde il suo amore verso questo genere ed afferma che: “il jazz è stato la base della mia dieta musicale fin dalla mia adolescenza, così ascoltare ed amare jazz non suonava strano per me, anche se penso che ci sia voluta un po’ di ricerca”. L’album cattura l’essenza e l’esperienza dei due fedeli sostenitori della scena britannica soul e jazz, che hanno raccolto in unica opera gli artisti che hanno influenzato la loro vita musicale. Dall’hard bop di Lee Morgan e Art Blakey, alle note più soul di Mose Allison, dal jazz funk di Leon Thomas al post moderno spiritual jazz di Kamasi Washington, sono solo alcuni dei compositori che troverete all’interno della compilation. Jazz On The Corner è un interessante strumento per chiunque voglia iniziare ad intraprendere un viaggio all’interno del mondo sincopato del jazz.

Scasso  10/04/2018


Trummor & Orgel - Indivisibility - Introspection Rec. - LP/CD digipack

Questo duo di Uppsala, città famosa per essere non solo la più grande dell'estremo nord svedese ma anche per avere al suo interno la facoltà di università più completa di scandinavia, ci delizia con il loro settimo album che, partendo dal primo datato 2006 e consequenziale agli altri, ci propone un suono liquido e freddo, una sonorità rarefatta degna del più cool delle situazioni lounge o easy listening in perfetta armonia con quello che potrebbe essere un paesaggio scandinavo metropolitano o di campagna. Trummor Och Orgel vuol dire batteria e organo, quindi il suono che sentirete sarà solo di questi due strumenti, ma amalgamati così bene che vi daranno la sensazione di ascoltare una musica completa in tutte le sue parti. I due fratelli Ljunggren hanno iniziato questo progetto memori di un altro 2 svedese più famoso che si esibiva nei 60's e che si chiamava Hansson & Carlsson, i quali hanno all'attivo due albums e due 45 giri e che a loro tempo fecero da spalla a bands come i Rolling Stones o Jimmy Hendrix quando suonarono in Svezia. Tornando all'ultimo lavoro del duo di Uppsala, si ha un album con nove canzoni totalmente strumentali che si ascoltano gradevolmente: sia durante un viaggio in automobile, che comodamente seduti in sala bevendo un buon vino e conversando con gli amici. Le atmosfere space age dell'hammond suonato da Anders vi trasporteranno verso un immaginario fatto di paesaggi bianchi alternati a case o alberi, insomma un'ottimo disco che consiglio a tutti e per chi è amante di questi suoni, ne consiglio anche la discografia completa.

Scasso  19/03/2018


Men Of North Country - This City - Acid jazz Rec. - LP/CD

Associare il Northern Soul alla città di Tel Aviv non è certo un meccanismo immediato ma a tutto c’è rimedio, deve aver pensato Yashiv Cohen mente e motore propulsivo dei MONC: "E’ vero che la nostra non è esattamente ciò che viene in mente quando si pensa alla musica israeliana, ma ho avuto il privilegio di crescere nel Kibbutz Kfar Blum, i cui fondatori provenivano principalmente dagli Stati Uniti e grazie a loro ho ascoltato musica americana e inglese fin da piccolo. La famiglia di mia madre emigrò da Brooklyn e crescere in casa mia era un po' come stare dentro a Radio Days di Woody Allen. Ben presto il Soul è diventata la mia musica preferita. Scavando più in profondità mi sono poi innamorato del Northern Soul, il movimento che è emerso dalla scena Mod nel nord dell'Inghilterra alla fine del 1960, da quel momento mi sono praticamente innamorato di tutto il genere Mod". E’ con questo background che il buon Yashiv nel 2008 comincia a farsi notare nei locali notturni della capitale israeliana (le cronache riferiscono di karaoke clandestini!) dove presto incontrerà gli altri componenti del futuro ensemble. Dagli Elettra, rock band molto popolare nei circuiti cittadini, recluta il chitarrista Nitzan Horesh, il batterista Boaz Wolf e il bassista Doron Farhi. Completa la line-up con il trombonista Ido Kretchmer e i fratelli Sizzling, Sefi alla tromba e Ongy al sax. E' il pezzo di Dylan Girl From The North Country a ispirarlo per il nome della band; Wilson Pickett, Gloria Jones e Booker T. sono invece tra i riferimenti per l’indirizzo musicale. Un’altra allegra brigata del Soul è nata e se The Commitments sono stati nell’immaginario cinematografico la band più nera di Dublino, i MONC vogliono diventare la Northern Soul band più tosta del medio oriente! La gavetta anche per loro è la solita: ore trascorse nelle cantine a ripassare i classici R’n’B e Soul dei ’60 e ’70 che poi ripropongono in decine di concerti, affinando la pratica strumentale e mettendo insieme un pugno di composizioni originali con le quali riescono ad attirare l’attenzione della Acid Jazz Records ed esordire nel 2010 con il 7’’ Man Of North Country / Debut. Due anni più tardi, sempre con l’etichetta londinese (negli anni diventata sinonimo di eleganza musicale con in catalogo artisti del livello di Brand New Heavies e James Taylor Quartet), arriverà il primo lavoro sulla lunga durata, The North. Nell’album oltre alla black, di cui abbiamo già detto, le atmosfere di band come Style Council e Dexy’s Midnight Runners, canzoni esuberanti dalla presa immediata, ottimi arrangiamenti e un approccio ultra vigoroso. Adesso, dopo quattro anni passati in tour per mezza Europa, arriva This City e i MONC colpiscono ancora. Il disco infatti parte benissimo, la voce calda di Cohen (somigliantissima a quella di Paul Weller) e il sound pastoso, illuminato dai fiati, fanno di Running un pezzo esemplare per introdurci alle prelibatezze musicali del sodalizio israeliano. Siamo nello stesso emporio frequentato da Weller, Talbot e Rowland agli inizi degli anni ‘80: memorabilia Soul e R’n’B, eleganza proletaria e inarrestabile voglia di ballare. Wendy Rene, tributo alla cantante di colore in forza alla Stax nei primi anni ’60 è, senza esitazioni, il brano più bello del lotto, un’autentica meraviglia dal refrain accattivante e la melodia lineare che non stanca mai, un piccolo classico istantaneo. Sono ancora gli ottoni e il sax che eccellono nelle solari e spumeggianti All In, Country Lost/Tobacco Road e Let’s Get Away e se, Country Boy è la perfetta colonna sonora per cocktail party e spy story alla Bond, 77 è il lento che si aspetta per ballare stretti stretti. Bella anche la versione di I’m Comun Home (In The Morn’un), capolavoro Northern Soul di Lou Pride. Chiude il disco la seducente ballata kinksiniana Permanent Vacation. This City è dunque un ottimo disco che trasmette una sensazione di libertà e gioia che è all’origine stessa di questa musica inebriante e inconfondibile. Che poi, a questo giro, provenga da Tel Aviv e non dai sobborghi di Liverpool, è solo un dettaglio.

Scasso  31/01/2018